A circa quattro mesi dall’inizio della pandemia e delle tormentate ed alterne fasi della quarantena ci rendiamo conto di quanto la nostra vita sia cambiata, di come siamo stati costretti a modificare le nostre abitudini e riorganizzare lavoro, affetti, tempo libero, a riflettere velocemente su come reagire e ripartire.

Pratiche prima eccezionali o sporadiche sono diventate ordinarie. Il social ha superato il sociale. La tecnologia è entrata sempre di più nella nostra quotidianità dalla porta principale, senza bussare e senza troppi convenevoli, fattore imprescindibile per continuare a relazionarci con l’esterno e per custodire un pizzico di normalità.

E il lavoro? Cosa è successo al lavoro?

Alcuni l’hanno perso, altri lo hanno ridotto, altri lo hanno creato oppure modificato, è diventato più semplificato, più agile, più smart o meglio smart working.

Sul tema dello smart working DB Radio – Your Social Radio ha cercato di raccogliere il pensiero di chi l’accettato, di chi l’ha adoperato, di chi l’ha subito.

Se è vero che l’Osservatorio del Politecnico di Milano ha definito lo smart working “nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Diversa modalità di esecuzione del lavoro: pro o contro?

Non è una novità, esiste già da tempo, tuttavia, con il Coronavirus ha ricevuto maggiore attenzione ed è diventato più martellante l’interrogativo se possa essere una soluzione eccezionale o la regola. Giovanni Le Coche, co-founder e Ceo Arkys Digital Marketing – Seo & Web marketing manager, ha manifestato il suo favore verso lo smart working, già usato in precedenza, giudicandolo ottimale per la sua duttilità e dinamicità allo scoppio della pandemia e nella fase successiva e ritenendo opportuno l’implementazione e il maggiore sfruttamento in futuro.

“Lavorare fianco a fianco con i propri collaboratori è sempre utile, è mancata la condivisione e la socialità, però, tale modalità ha permesso di riscoprire la vita, la realtà e il lato umano dei rapporti e l’intera vicenda ha dimostrato che le certezze di oggi non sono quelle di domani, ma occorre adattarsi e riadattarsi”.

Ha evidenziato inoltre che, nel confronto con le aziende, sono emerse alcune difficoltà legate alle svariate piattaforme prese d’assalto: alcune si sono rivelate più pronte nella gestione dei tempi e nell’utilizzo dei nuovi sistemi, altre invece un po’ più intimorite, ma in gran parte aperte all’apprendimento e al cambiamento.

Un altro punto di vista è quello di Caterina Roi, National Recruitment Specialist, che ha evidenziato come il mercato del lavoro non si sia totalmente fermato neanche durante il periodo emergenziale e sia proseguita l’azione di supporto sia alle imprese nell’attività di reclutamento del personale, sia ai soggetti interessati alla ricerca di attività lavorative in linea o meno alle proprie competenze e capacità.

L’incontro tra domanda e offerta di lavoro è avvenuto spesso mediante modalità on line e di collegamento a distanza, a cui non tutte le aziende si sono allineate facilmente, e i tempi di inserimento fisico dei lavoratori nell’ambiente di lavoro si sono dilatati, tuttavia, sono continuati i colloqui conoscitivi e le attività di formazione e si è cercato, ove possibile, di dividere e organizzare il lavoro.

“Nella difficoltà del periodo si è riscoperta la voglia di reinventarsi e, senza generalizzare sugli impatti, se alcuni settori hanno percepito dei rallentamenti, altri, caratterizzati da un diverso business, hanno visto un incremento delle richieste, delle proposte di lavoro e della disponibilità agli investimenti”.

Caterina Roi ha, pertanto, dimostrato che le diverse fasi dell’emergenza hanno sviluppato una nuova percezione della gestione del lavoro e hanno spinto alla riflessione sulla modifica dei sistemi precedenti e su quello di cui fare tesoro della particolare ed inaspettata vicenda. L’ultimo intervento, ma non in ordine di importanza, è di chi ha avvertito negativamente gli effetti del Coronavirus sotto il profilo lavorativo e professionale, ma non ha perso passione, creatività e tenacia ossia delle giornaliste freelance Elisabetta Invernizzi e Claudia Zanella.

Giovani, barricate nella loro casa a Milano a causa dell’emergenza e rimaste senza lavoro, hanno avviato un interessante progetto dal nome “Orange is the new Milano – Due giornaliste disoccupate nella prigione del Covid-19”, con cui hanno inteso lanciare un messaggio positivo e di reazione.

A casa hanno lavorato spesso, hanno composto i loro sudati pezzi, “ma se qualcuno gioisce per lo smart working, a loro il Coronavirus ha tolto più di un lavoro”, come potrebbe dirsi parafrasando il titolo dell’articolo scritto da Elisabetta Invernizzi e pubblicato da Huffington Post.
“E’ stato un periodo surreale, nessuno ci chiamava, situazione limitante per un freelance abituato ad andare tra la gente alla ricerca di fatti e vicende, e così, trovandoci a casa, abbiamo deciso di non stare ferme e di essere utili nel modo in cui sappiamo farlo ossia raccontando storie e facendo capire come stesse vivendo la gente in quel periodo a Milano come in una prigione”.

Si tratta di un interessante contenitore di voci, di video, di ricette, di stili di vita che ha dato impulso a dialoghi ed occasioni di dibattito virtuali, che è stato arricchito da una sezione deputata alle lettere provenienti da tutta Italia e aventi ad oggetto racconti divertenti, aneddoti, confessioni e malumori della pandemia.

L’iniziativa non ha portato, dunque, alla creazione di un semplice blog, ma ad un vero e proprio luogo di condivisione delle esperienze e delle emozioni, e ha mostrato un lato diverso del giornalismo, quello con meno tutele, quello collocato in una zona più grigia, ma capace di catturare le storie più particolari e che perciò escono dal flusso dell’ordinario.

di Iolanda Raffaele

(DB Radio del 30 maggio, puntata sullo smart working)