Il lavoro è un diritto e un dovere costituzionalmente garantito, ma spesso le lotte compiute dietro questa conquista diventano solo un ricordo.
Nobilita l’uomo e rende la sua vita libera e dignitosa, ma troppe volte lo espone a rischi e pericoli e così tutto ciò che viene affermato sul piano formale non trova corrispondenza nella sostanza.
Nella Giornata Mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, coordinata ogni 28 aprile dall’Organizzazione Internazionale del lavoro (ILO), DB Radio ha affrontato questa tematica con Luca Ciliberti, commercialista e consulente in materia di sicurezza sul lavoro che con la società Global Service & Consulting Srl, di cui è amministratore, offre servizi alle aziende nel settore della sicurezza sul lavoro, dell’igiene, della qualità e della formazione.
Partendo dallo slogan dell’edizione 2020 “Fermare la pandemia: la sicurezza e la salute sul lavoro possono salvare vite”, Luca Ciliberti ha tracciato qual è il possibile percorso che le aziende devono seguire sul fronte della sicurezza sul lavoro durante l’emergenza Covid-19.
I risvolti sociali ed economici della pandemia sulle aziende, sui dipendenti e sull’intera collettività sono senza dubbio già evidenti, ma si può e si deve intervenire. In tale direzione uno degli strumenti di contenimento più adeguati per la riduzione dei contagi è in primo luogo la prevenzione in conformità alla quale il Governo ha emanato una serie di protocolli, condivisi dalle parti sociali, finalizzati alla limitazione e al contrasto di possibili nuovi casi e della diffusione del virus, ma ha anche disposto una serie di regole per pianificare al meglio lo svolgimento delle attività lavorative e l’uso dei luoghi comuni e di prescrizioni igienico-sanitarie, modulate in base all’organizzazione aziendale, al rischio, ai soggetti coinvolti da tutelare, differenziati per fascia d’età e patologia.
Accanto alla prevenzione, Luca Ciliberti ha sottolineato l’importanza della formazione e dell’informazione in ordine alle problematiche relative alla salute e alla sicurezza sul lavoro, alle fonti e ai fattori di rischio, alle procedure da seguire e alle strategie operative da adottare.
Dei tre pilastri della sicurezza (formazione, sorveglianza sanitaria e valutazione dei rischi) la formazione è sicuramente quello che ha il collegamento più immediato con l’operatore finale.
Attualmente la formazione in aula è impossibile per via delle misure di distanziamento sociale imposte a causa del Coronavirus, così come non sono ammessi incontri frontali e convegni, tuttavia, ci sono molte piattaforme per l’e-learning e sono state intensificate le modalità di apprendimento on line che consentono di migliorare le proprie conoscenze e di essere aggiornati sulle ultime normative generali e di settore.
L’Italia non è ancora ben attrezzata per la gestione di queste modalità di erogazione della formazione a distanza, ma ciò non deve essere un deterrente.
La formazione non deve essere percepita come un aggravio, come un onere per l’azienda, ma come una risorsa per una stabile crescita professionale ed economica dei suoi componenti.
Il quantum dei costi è variabile da azienda ad azienda, tuttavia, è opportuno ricordare la possibilità di fare riferimento ai fondi interprofessionali e all’uso di enti bilaterali, strumenti spesso disconosciuti e al contrario molto utili perché incentivano le aziende, che non hanno altri aiuti e sostegni economici, ad avviare percorsi di formazione e migliorano la qualità delle prestazioni erogate sotto il profilo della sicurezza e della salute.
L’attività di prevenzione, necessaria ed essenziale in questo periodo, crea delle inevitabili ingerenze sulla sfera personale, pertanto, è opportuno educare ad una corretta attività di raccolta dei dati, ad un aggiornamento tempestivo dell’informativa sulla privacy e all’adozione di tutte le misure richieste dal GDPR- Regolamento generale sulla protezione dei dati (UE 2016/679) per garantire la tutela della dignità e della riservatezza della persona, maggiormente vulnerabili nell’attuale clima di generale emergenza.
La tematica della sicurezza sul lavoro si intreccia con il lungo dibattito sulla pericolosità dell’amianto e dell’eternit, noto come cemento-amianto, che con il suo nome latino richiama, tristemente, l’idea dell’incorruttibile resistenza del materiale e della sua permanenza nel tempo.
Il 28 aprile è anche la Giornata Mondiale delle vittime dell’amianto, perciò, il pensiero va necessariamente a tutti coloro che hanno perso la vita e che continuano a morire per l’esposizione a questa sostanza tossica e ai suoi derivati sia durante l’orario di lavoro che in altri contesti sociali in cui la propagazione degli stessi è molto rapida.
Sono passati 28 anni dalla legge 257 del 27 marzo 1992 con cui l’Italia ha messo al bando i prodotti contenenti amianto, vietandone l’estrazione, l’importazione, la commercializzazione e la produzione, ma ancora si registrano molti casi di malattie come il mesotelioma pleurico, l’asbestosi e altre forme tumorali correlate che fanno riflettere su quanto il rischio sia molto alto e sulla facilità con cui le fibre contenenti amianto, frantumandosi in particelle minuscole e sottili, possano restare nell’aria e renderla irrespirabile.
Dall’Eternit a Casale Monferrato alla Thyssenkrupp di Torino, tante storie di vite spezzate, ma anche azioni propositive come quella portata avanti da Massimiliano Quirico, che con l’associazione e rivista “Sicurezza e Lavoro” si impegna per sensibilizzare l’opinione pubblica, le aziende e le istituzioni verso queste problematiche così importanti.
Come da lui chiarito, l’associazione, nata nel 2010 in seguito alla tragedia della Thyssenkrupp di Torino, ha sempre cercato di affrontare il tema della sicurezza da un punto di vista che non fosse troppo tecnico, né troppo politico, ma sociale in modo da responsabilizzare tutti ad un corretto comportamento e all’adozione di adeguate tutele.
Non c’è un piano uniforme di gestione per l’amianto a livello nazionale, ma piuttosto soluzioni differenziate, frutto dell’erronea considerazione che il problema sia solo di alcune regioni e non di tutta l’Italia; gli interventi di smaltimento sono piuttosto lenti per i costi esosi e la mancanza di incentivi ed è dilagante la tendenza a sottovalutare e minimizzare le conseguenze della dispersione dell’amianto nell’ambiente.
La gravità della vicenda risiede nel fatto che, come la storia tragicamente dimostra, l’amianto e l’eternit non colpiscono solo i lavoratori delle singole fabbriche o del singolo settore, ma tutta la popolazione che con loro viene a contatto in una catena interminabile di vittime, e che spesso è stato adottato da parte delle multinazionali e delle grandi società un meccanismo di imputazione della responsabilità a cause diverse da quelle reali o agli stessi lavoratori. Trovare giustificazioni ben costruite anche se non eticamente corrette, diffondere disinformazione per alterare la verità dei fatti, remunerare in modo molto redditizio lavori pericolosi per l’incolumità hanno lasciato sempre troppo spazio agli abusi e all’incertezza.
In risposta ad una situazione così intricata, risultano, dunque, fondamentali l’intervento e l’impegno sociale di Massimiliano Quirico che attraverso incontri, conferenze locali e nazionali ed altre iniziative esorta ad una maggiore e corretta informazione e ad una presa di coscienza dei diritti e delle tutele dei lavoratori; sostiene l’azione di sindacati e delle figure professionali concretamente operanti sui luoghi di lavoro e appoggia le battaglie delle famiglie delle vittime coinvolte verso una giustizia più equa e condanne più esemplari.
di Iolanda Raffaele